%@LANGUAGE="VBSCRIPT"%>
A lezione da Sesto Bruscantini
|
|||
di Ubaldo Sagripanti autore del libro "La mattina di San Giovanni" - Ed. Zona |
|||
UN RECITATIVO “Cos’ è che vorresti cantare davvero, che musica hai dentro?!” “Il balen del suo sorriso!” “Ah!… E la sai?” “…Io” “Prendi, prendi lì: Il Trovatore” La lunga libreria conteneva un’intera biblioteca di spartiti, Tommaso sapeva che erano disposti in ordine alfabetico per autore e tra le copertine verde oliva delle edizioni Ricordi, alla fine distinse la stampigliatura dorata sul volume. Aveva timore nel prenderlo, ma proseguì. Le pagine erano ingiallite, lievemente usurate ai bordi, ma composte. Tommaso avvertiva la musica passata per quelle pagine, l’ odore dei teatri, la voce dei direttori, il silenzio delle stanze d’ albergo e le note. Seguite, solfeggiate, pensate. Gli sudavano le mani e arrossì ma il Maestro sorrise: “Guarda nell’indice: Tutto è deserto… l’inizio del recitativo che precede l’aria. Si comincia da quello!” Tommaso trovò la pagina. “Leggi”. “Fa, fa, fa... Fa…” Iniziò a solfeggiare Tommaso. “No, non la musica; leggi il testo”. “…Tutto è deserto; né per l’aure ancora suona l’usato carme… In tempo io giungo!… Ardita opra, o signore, imprendi… Ardita, e qual furente amore ed irritato orgoglio chiesero a me”. “Aspetta. Lì, dopo: Ardita opra, o signore, imprendi, Lui dice E qual furente amore ed irritato orgoglio… Ecco, dopo e qual mettici una virgola!” Tommaso non capiva, ritornò con lo sguardo sulla pagina e iniziò da capo fissando ogni sillaba del testo; fu allora che notò dei segni a matita che il tempo aveva quasi dissolto, ma la vecchia grafite lasciava ancora una traccia. C’era una virgola nel testo, non un’indicazione musicale, ma: una virgola. Come si canta una virgola? La perplessità di Tommaso non sfuggì al Maestro: “Non puoi cantare senza sapere quello che dici; devi sapere chi sei”. Tommaso alzò gli occhi dallo spartito e trovò quelli del Maestro, non erano occhi di bimbo ma abissi. Ebbe paura, non c’era fondo. “Tutto è deserto: semplicemente non c’è nessuno! Solo lui e Ferrando, il suo capitano… Lui è il Conte di Luna, un uomo abituato a comandare ed è infuriato, innamorato, cieco di desiderio, geloso… Sta per rapire Leonora dal convento in cui s’è rinchiusa. Un sacrilegio! Un groviglio di passioni che stanno per diventare azione: “In tempo io giungo!” Il Conte di Luna dalla poltrona raccontava la sua tempesta, la Belva era lì, a meno d’un passo con gli artigli infilati nei braccioli azzurri. Tommaso sussurrò: “Ardita opra, o signore, imprendi”. “Ardita e qual… Vedi è tutto lì! – Proseguì la Belva sapiente – Se ci metti la virgola, e qual si stacca e rinforza ardita che si riferisce ad opra e non a furente amore! Lui è quello che sta facendo, è lui l’ardita opra. Furente amore ed irritato orgoglio glielo hanno chiesto e Lui è furente amore ed irritato orgoglio!… Lui è la sua domanda”. Tommaso lo aveva davanti. “Spento il rival, caduto ogni ostacol sembrava a miei desiri:” Tommaso non lo conosceva un desiderio così. “Novello e più possente ella n’appresta… L’altare! Tommaso si mosse impercettibilmente all’ indietro era spaventato. Confuso. “Ah no, Non fia d’altri Leonora!… Leonora è mia!… E chi lo ferma più?” “…!” “Prova a rileggere”. Tommaso cercò nelle sue una notte come quella, un desiderio come quello… Non era mai stato tigre, cacciatore notturno. Il suo amore non era mai stato furente e il suo orgoglio mai veramente irritato. No, non per le donne: non aveva mai permesso a nessuna di arrivare al suo orgoglio e ancora una volta seppe di non aver mai amato. (…) “…Rileggi”. “Tutto è deserto; né per l’aure ancora suona l’usato carme… In tempo io giungo! – Ardita opra, o signore, imprendi – Ardita e qual,” Il Conte dalla poltrona lo fermò: “Studia la musica ora, prendi lo spartito se non ce l’hai, fanne una copia. Torna domani”. Tommaso, richiuse il volume con energia. La copertina si lamentò tra le sue mani e in quel gemito percepì il corpo come una verga, un ramo giovane piegato dal vento nel bosco. Sangue nei muscoli e cuore in gola. Si sentì belva dello stesso bosco. Gli occhi del Maestro erano tornati bambini. Uscì rispondendo allo sguardo e sull’uscio s’accorse di non aver mai tolto il cappotto. Si mise al pianoforte senza aspettare e cominciò solfeggiare sulla tastiera il recitativo. Le note e le pause prendevano senso con difficoltà, non era semplice congiungere gli occhi del Conte alle note dello spartito. (…) Quando entrò di nuovo nella stanza del Maestro ebbe l’impressione che ci fosse stato solo un intermezzo tecnico, come un cambio di scena in teatro. Aveva fatto le copie dello spartito ed era pronto. Notò nel Maestro un’impazienza insolita in lui. “Hai studiato?” “Si ho provato”. “Va bene, facciamo gli esercizi per preparare la voce!” Tommaso si mise al piano iniziando la serie dei vocalizzi; il Maestro era particolarmente severo nel richiamarlo quando sbagliava e appena ebbe finito gli chiese subito il vecchio spartito facendosi aiutare ad aprirlo sulla pagina voluta. Tommaso sistemò le sue copie sul leggio del pianoforte. “Leggi”. “Tutto è deserto né…” “No, no, no. Leggi!” Tommaso riconobbe con la coda dell’occhio la sagoma del Conte sulla poltrona, scurita dal controluce della finestra. Sapeva che gli artigli affondavano nei braccioli, che il cuore batteva forte, che le pupille erano dilatate. Fissò di fronte a lui la pagina sterilizzata dalla fotocopiatrice, ebbe di nuovo paura, quel “Leggi!” gli risuonava dentro. (…) … Un sorriso lontano. Di chi era? Chi era lei che gli parlava dolce? Chi era? Vedeva solo il sorriso ma il volto gli sfuggiva, non riusciva a vederlo. Voleva quella carezza, la voleva con tutto sé stesso : “Tutto è deserto; né per l’aure ancora suona l’usato carme… In tempo io giungo!” “Ardita opra, o signore, imprendi” Ammonì il Maestro. “Ardita e qual, furente amore ed irritato orgoglio chiesero a me. Spento il rival, caduto ogni ostacol sembrava a’ miei desiri:… Novello e più possente ella n’appresta l’altare! Ah no, Non fia d’altri Leonora!… Leonora è mia!…” Il Maestro gli fissava le mani. Tommaso ne seguì lo sguardo fino a riappropriarsene: s’erano contratte ad artiglio sui tasti senza produrre suoni. “Adesso falla col naso senza pronunciare: le parole pensale soltanto”. Tommaso carezzò il tasto del Fa e iniziò il recitativo, quasi non sentiva la propria voce, non sapeva cosa stesse facendo. “Adesso canta e non pensare ad altro, canta e basta!” Tommaso obbedì in trance, il suo corpo e la sua mente erano al servizio del Conte. |
|||
|
|||
Non sono un cantante e neanche un musicista, ma solo un appassionato che un pomeriggio d’estate conobbe Sesto Bruscantini. Si parlava all’ombra dei pini di casa sua, nel giardino accogliente di cui coltivava le rose e c’erano amici, allievi e profumo di caffè – il Maestro adorava il caffè – si rideva e si riprendeva l’argomento o si cambiava dopo pause brevi e fresche finché l’ultima fu invasa dal cinguettare dei passeri affollati nelle chiome dei pini: s’era fatta notte. Diventammo amici e in un’altra conversazione disse che tutti potevano cantare, io non riuscivo a crederci e non potevo certo contraddirlo, ma lui oltre la perplessità, intuì la mia passione: “ Ce voi provà?” chiese in dialetto - lingua che tra di noi usavamo spesso – la mia espressione senza parole gli strappò una gran risata. Cominciai gli esercizi usando una piccola tastiera per prendere la nota che lui mi insegnava a far suonare nel naso e mano a mano più il basso e per il respiro mi diceva di pensare alla pancia dei neonati quando piangono; poi arrivava il caffè e infine lo spartito - le cose a quel punto cambiavano - “ Lo devi sapè quello che canti” e, la parola, il verbo e la punteggiatura stessa si trasformavano nella ricerca del Senso da cantare; tempo dopo, mi disse anche: “Devi sapere chi sei quando canti…”. Quel giardino adesso non c’è più ma i pini sono rimasti e passandoci vicino al tramonto, si sentono i passeri raccontare la giornata prima d’addormentarsi. Una sera, nell’ascoltarli, mi sono accorto che la lezione continuava: “…In fondo non importa se canti o ascolti: è la musica che conta.” Le automobili continuavano a percorrere la strada, l’autobus a sbuffare, le moto a sfrecciare, le signore a chiacchierare passeggiando lente, i bimbi a protestare dai passeggini affrettati dalle mamme verso casa ma dentro, al centro di me, la musica risuonava e ho cominciato a scrivere. La Mattina di San Giovanni è la storia di un’amicizia che passa per amore e morte come ognuno di noi; ho voluto dedicarla al Maestro Sesto come piccolissimo grazie per avermi insegnato a distinguere la risonanza della Musica con l’Anima. Non sarei stato un cantante e lui lo sapeva quando m’insegnava, ma non era importante: quello che contava era passeggiare con me lungo gli spartiti e le storie dei personaggi, appassionarsi a condividere il mistero di un suono e una parola insieme. Credo sapesse anche che sarei stato il suo allievo silenzioso, quello della pausa, del silenzio necessario alla Musica. Ubaldo Sagripanti |
|||
Sesto Bruscantini (Civitanova Marche, 10 dicembre 1919 – Civitanova Marche, 4 maggio 2003) è stato un basso e baritono italiano. |
|||
L'immagine di Sesto Bruscantini è tratta dal sito http://www.weblaopera.com e precisamente dalla pagina http://www.weblaopera.com/blog_efemerides/?p=270 |
|||
|
© 2007/09 -Associazione culturale no-profit Cantare l'Opera® - Tutti i diritti riservati |